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André Kertész (Budapest, 2 luglio 1894 – New York, 28 settembre 1985) è stato uno dei fotografi più influenti del XX secolo, spesso considerato un pioniere della fotografia moderna per la sua capacità di fondere sensibilità poetica, sperimentazione formale e una straordinaria capacità di cogliere la vita quotidiana con uno sguardo discreto e lirico. Sebbene la sua notorietà sia stata spesso offuscata da quella di altri colleghi più celebrati, il suo lavoro ha influenzato intere generazioni di fotografi, da Henri Cartier-Bresson a Brassaï, fino ai contemporanei della street photography.
Cenni biografici
André Kertész nacque a Budapest nel 1894 in una famiglia ebrea della media borghesia. Fin da giovane fu attratto dall’arte e dalla fotografia, ma intraprese inizialmente studi economici, come voleva la sua famiglia. Nel 1912 acquistò la sua prima macchina fotografica, una ICA Box, e iniziò a realizzare immagini che documentavano la vita rurale ungherese, rivelando già una sensibilità per il quotidiano e per le composizioni naturali.
Durante la Prima Guerra Mondiale fu arruolato nell’esercito austro-ungarico e portò con sé la macchina fotografica. Scattò molte immagini dei soldati in momenti di riposo e contemplazione, distanti dalla retorica della propaganda militare. Dopo la guerra tornò a Budapest, ma nel 1925 decise di trasferirsi a Parigi, capitale dell’avanguardia artistica e letteraria dell’epoca.
A Montparnasse, Kertész entrò in contatto con artisti come Piet Mondrian, Fernand Léger e Constantin Brâncuși. Iniziò a lavorare per riviste come “Vu” e “Art et Médecine”, affinando uno stile personale che univa l’estetica del Bauhaus e del Surrealismo alla spontaneità del realismo urbano. Fu in questi anni che influenzò profondamente Cartier-Bresson, con cui condivise l’idea della fotografia come “atto poetico” più che come documento.
Nel 1936 emigrò negli Stati Uniti, sperando in una carriera internazionale. Tuttavia, il clima artistico americano non accolse subito il suo linguaggio visivo. Lavorò per varie riviste come “House and Garden”, dove venne confinato alla fotografia d’interni. Questa frustrazione professionale lo segnò profondamente. Solo negli anni Sessanta e Settanta il mondo della fotografia riconobbe il valore della sua opera con mostre retrospettive al MoMA e in importanti gallerie internazionali.
Lavori e opere principali
Le prime fotografie ungheresi
I suoi primi lavori in Ungheria sono un’ode alla vita contadina: giovani nei campi, pescatori sul Danubio, ritratti di familiari. Queste immagini mostrano già una grande attenzione per la composizione naturale, la luce e i gesti spontanei. Lo sguardo di Kertész è intimo e mai invadente.
Il periodo parigino
A Parigi realizza alcune delle sue immagini più iconiche. “Chez Mondrian” (1926) è un ritratto della casa dell’artista olandese dove la porta e la bottiglia d’acqua diventano elementi geometrici. L’opera è un esempio della fusione tra rigore compositivo e poesia visiva.
Il suo lavoro con lo specchio, i riflessi e le ombre trova espressione nel ciclo delle “Distorsioni” (1933), una serie di ritratti femminili realizzati con l’uso di specchi curvi, in cui il corpo viene deformato in modo onirico e surreale.
Gli anni americani
Negli Stati Uniti produce immagini più introspettive. Dopo la morte della moglie Elizabeth, nel 1977, crea una serie di immagini scattate dalla finestra del suo appartamento a Washington Square: solitarie, malinconiche, spesso inquadrate attraverso il vetro o gli oggetti domestici. Questa serie testimonia la sua capacità di trovare poesia anche nella solitudine e nell’immobilità.
Libri fotografici
Kertész fu anche autore di numerosi fotolibri, oggi considerati pietre miliari della fotografia:
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“Paris Vu Par Kertész” (1934) – Uno dei suoi primi libri, dedicato alle immagini scattate nella capitale francese.
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“Distortions” (1976) – Riedizione del progetto degli anni ’30, con commenti e riflessioni sull’uso della forma.
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“Of New York…” (1985) – Ultima raccolta, malinconica e intima, che raccoglie fotografie scattate a New York dagli anni ’60 in poi.
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“André Kertész: Sixty Years of Photography” (1972) – Una retrospettiva completa della sua opera, pubblicata dal MoMA.
Stile fotografico
Lo stile di Kertész è difficile da classificare. Non fu mai un fotoreporter nel senso stretto del termine, né un formalista ossessivo. Le sue immagini sono composizioni spontanee, mai costruite. Il suo approccio può essere definito come un’osservazione poetica della realtà.
Elementi ricorrenti del suo stile:
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Uso della luce naturale: spesso morbida, mai drammatica. Le sue ombre sono leggere, i contrasti controllati.
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Composizione geometrica e armonica: il rigore dell’inquadratura si fonde con la naturalezza del gesto o dell’evento.
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Riflessioni e specchi: in molte immagini, lo specchio è strumento per indagare la realtà e la sua alterazione.
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Atmosfera poetica: anche in scene apparentemente banali, come un passante o una sedia vuota, riesce a trasmettere emozione.
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Minimalismo narrativo: nessuna enfasi, nessuna retorica. Solo il momento.
Henri Cartier-Bresson disse di lui: “Tutti ci dobbiamo qualcosa a Kertész”. Lo considerava il vero inventore del concetto di “momento decisivo”, sebbene Kertész non usasse mai quel termine.
Attrezzatura fotografica
Kertész iniziò con una ICA Box, ma nel tempo utilizzò diversi tipi di fotocamere, tra cui:
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Voigtländer Bergheil 9×12 cm (durante il periodo ungherese e bellico).
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Leica I (35mm) – Acquistata negli anni ’30, fu una delle sue fotocamere preferite per la libertà che offriva nella fotografia di strada.
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Contax e Rolleiflex – Usate specialmente per lavori su commissione.
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Polaroid SX-70 – Negli ultimi anni, realizzò una serie poetica di immagini domestiche usando la Polaroid.
La sua scelta di attrezzatura era sempre funzionale allo scopo: piccole, leggere, che permettessero discrezione e rapidità. Non amava l’apparato tecnico pesante né le pose forzate. La fotografia per lui era gesto spontaneo, osservazione silenziosa.
Come replicare lo stile di Kertész
Cercare di imitare lo stile di Kertész non significa copiarne le inquadrature, ma comprenderne la filosofia.
1. Sguardo poetico e discreto
Allenati a vedere la bellezza nei dettagli più semplici: un’ombra, una finestra, una persona che legge. Kertész cercava poesia nei gesti ordinari.
2. Fotocamera leggera e discreta
Una mirrorless compatta o una Leica analogica (o digitale) sono ideali. Scatta in modo silenzioso, senza attirare l’attenzione, e usa focali standard (35mm, 50mm) per un punto di vista naturale.
3. Luce naturale e attenzione all’ombra
Non usare flash. Prediligi la luce del mattino o del tardo pomeriggio. Studia come l’ombra si appoggia sulle superfici e come la luce rimbalza.
4. Composizione attenta ma non rigida
Non cercare simmetrie perfette. Lascia spazio al caso, ma costruisci inquadrature solide. Usa elementi architettonici, finestre, porte, linee diagonali.
5. Stampa in bianco e nero
Il bianco e nero sottolinea la composizione e l’atmosfera. Lavora sulla gamma tonale per ottenere neri profondi ma non invadenti.
6. Fotografa ogni giorno
Kertész scattava continuamente, anche quando non lavorava per riviste. Il suo archivio è immenso perché vedeva la fotografia come un diario quotidiano.
7. Non cercare il sensazionale
Evita le immagini gridate. Lavora per sottrazione. Cerca l’anima della scena. Se un soggetto è interessante, lo è anche senza effetti speciali.
Conclusione
André Kertész è stato un fotografo difficile da incasellare. Non aderì a scuole, non seguì mode, né cercò fama. Eppure il suo lavoro ha anticipato e ispirato molte delle direzioni più fertili della fotografia del Novecento. La sua forza sta nella coerenza, nella leggerezza, nella capacità di suggerire più che di mostrare.
Per chi ama la fotografia come strumento di riflessione e poesia, Kertész resta un modello da studiare e, soprattutto, da sentire. Perché il suo vero messaggio è che ogni cosa – un libro aperto, una finestra, una figura solitaria – può essere il punto di partenza per raccontare l’interiorità umana.